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Storia della Medicina

Anno Accademico 2016/2017

            Corso "STORIA DELLA MEDICINA E ANTROPOLOGIA MEDICA" XIII

      Mercoledì 9 novembre 2016 alle ore 16 presso l'Aula CS 1.1 (ex P01)

si terrà la quinta lezione del Corso.

Tratterà il tema

                 "L'evoluzione in campo oncologico maxillo-facciale"

                        il prof. LUIGI  CHIARINI
        Professore Ordinario di Chirurgia Maxillo-facciale della Facoltà
    di Medicina e Chirurgia dell'Università di Modena e Reggio Emilia
        Direttore dell’U.O. di Chirurgia Cranio-maxillo-facciale
  del Policlinico dell'Azienda Ospedaliero-Universitaria di Modena

La S. V. Ill.ma è invitata.


prof. Maria Teresa Camurri
Presidente Cultura e Vita

www.culturaevita.unimore.it

 L’EVOLUZIONE IN CAMPO ONCOLOGICO MAXILLO- FACCIALE

Il distretto anatomico cervico-facciale è sempre stato una delle regioni
di più difficile ripristino morfologico e funzionale.
In particolare, l’integrità del mascellare e della mandibola è
fondamentale per le normali funzioni fisiologiche del cavo orale che
includono la deglutizione, la masticazione e la fonazione. Inoltre, il
mascellare superiore è la “chiave di volta” del terzo medio del viso, dal
momento che dà forma alle orbite e al complesso zigomatico-mascellare e dà
sostegno al naso. La mandibola, d’altra parte, determina il contorno del
terzo inferiore del viso.
Ne consegue che difetti mascellari o mandibolari causano importanti
deficit funzionali e modificano pesantemente la fisionomia facciale, con
gravi alterazioni della vita sociale e persino dell’identità personale dei
pazienti.
Inizialmente I tumori a carico di gengiva aderente, trigono retromolare,
lingua e pavimento orale in vicinanza alla mandibola venivano trattati con
mandibulectomie segmentali, con perdita della continuità ossea e
dell’attacco muscolare e conseguente disfunzione e deformità facciale. La
miglior comprensione del modello di invasione ossea neoplastica ha
consentito lo  sviluppo di tecniche più conservative quali la
mandibulectomia marginale. Negli anni sono state modificate anche le varie
tipologie di maxillectomia e le loro indicazioni chirurgiche con lo scopo
di essere il più conservativi possibili, pur garantendo un’asportazione
oncologicamente corretta ad intento radicale. Particolare attenzione è
stata riservata alla possibile preservazione del bulbo oculare e, ove
possibile, del pavimento orbitario per garantire un corretto supporto
all’occhio ed evitare distopia o diplopia.
Negli ultimi anni lo scopo della chirurgia ricostruttiva maxillofacciale è
passato progressivamente dal coprire il difetto tissutale ad ottenere un
risultato estetico e funzionale il quanto più possibile simile al
distretto anatomico-fisiologico. La preservazione delle capacità
funzionali e della fisionomia del paziente hanno assunto di recente una
notevole importanza nella valutazione degli esiti delle neoplasie della
testa-collo, non meno delle possibilità di guarigione. Lo status
funzionale-fisionomico del paziente dopo il trattamento è alla base della
qualità di vita del paziente stesso.
Ne segue che gli attuali obiettivi chirurgici sono: ripristinare
continuità e simmetria mandibolare e mascellare, garantire un corretto
supporto al bulbo oculare e al naso, ottenere un’adeguata separazione tra
lo spazio orale e le cavità nasali e paranasali, preservare funzionalità e
competenza palpebrale, consentire la motilità mandibolare e linguale,
permettere una riabilitazione protesica.
Considerando, poi, che le neoplasie maligne del distretto cervico-facciale
sono gravate in generale da una prognosi non favorevole, è auspicabile un
rapido ripristino delle caratteristiche morfo-funzionali per il
miglioramento della qualità di vita residua.
Le tecniche ricostruttive mascellari nel passato erano dominate dagli
otturatori che consentivano un immediato ripristino della dentatura senza
dover ricorrere ad un altro intervento chirurgico, ma queste protesi
presentavano dei limiti non trascurabili come instabilità, lesioni
meccaniche e incompetenza oro-nasale.  La ricostruzione si è poi evoluta
mediante l’allestimento di lembi locali o regionali, che, pur garantendo
una cicatrizzazione del difetto, offrivano scarsi risultati estetici e
funzionali (tra cui la rara possibilità di riabilitazione protesica
dentale).
Tradizionalmente i pazienti sottoposti a mandibulectomia segmentaria
venivano ricostruiti con placche in titanio e o con lembi peduncolati (per
esempio temporale o mascellare) o con innesti di osso autologo non
rivascolarizzato. Ovviamente queste soluzioni non permettevano risultati
soddisfacenti né da un punto di vista estetico né da un punto di vista
funzionale, senza contare il rischio di esposizione delle placche in
titanio e la perdita degli innesti ossei in caso di radioterapia
postoperatoria.
Il primo riferimento all’impiego delle metodiche microchirurgiche per la
ricostruzione dei difetti compositi maxillo-mandibolari risale  alla fine
degli anni cinquanta, ma il trasferimento libero di tessuti
rivascolarizzati si è diffuso in ambito clinico solo  a metà degli anni
settanta. Oggi è consuetudine dopo un’ampia resezione mascellare o
mandibolare mettere in opera una ricostruzione immediata in unico-tempo
mediante un lembo microchirurgico. Sempre meno sono i pazienti che hanno
delle controindicazioni cliniche o per età molto avanzata, tali da non
permettere l’impiego della microchirurgia ricostruttiva.